Fra i morti del 7 gennaio scorso, nella sede di Charlie Hebdo, figura anche Bernard Maris. Economista controcorrente, consulente della Banca di Francia, autore di studi su Keynes, Marx, Maris ha indagato l’ossessione molto, forse troppo europea del debito scrivendo una “Lettera ai guru dell’economia che ci prendono per imbecilli” e un “Antimanuale di economia”.
Alcune sue riflessioni
Il capitalismo organizza la scarsità, i bisogni e la loro frustrazione. Le generazioni passano, si arricchiscono (accumulano oggetti e rifiuti), ma sembra che la frustrazione e la paura del futuro e della privazione non diminuiscano.
Gli economisti raccontano che il funzionamento delle società è naturale, che lo scambio di mercato è primordiale e naturale, che la concorrenza è anch’essa qualcosa di naturale, che non si può contraddire il mercato.
Se per mercato s’intende il “girotondo dei potenti” (analisti, esperti, multinazionali, banche d’affari, agenzie di rating, giornalisti finanziari, uomini politici) è vero. Ma non vi è nulla di meno naturale di un mercato creato, organizzato, istituzionalizzato a favore di interessi molto particolari, né vi è nulla di più inefficiente.
La storia, la genesi dei mercati, dei prodotti, delle invenzioni, le loro relazioni con la sociologia, l’antropologia, i costumi, la psicologia, la geografia, la politica – di tutto questo dovrebbe occuparsi una buona analisi economica, che privilegi la storia, i fatti. Tutto il resto è solo ideologia o, nella migliore delle ipotesi, cattiva psicologia.
Il sistema di mercato sopravvive soltanto perché fagocita tutto quello che discende dalla gratuità e dalla solidarietà. Si appropria dei beni pubblici e impone pedaggi per il loro uso (…). Virtù come l’onore, la fedeltà, il rispetto per gli altri, la morale, non hanno alcun interesse per l’economista, a meno che si presentino sfigurate da qualche grottesca formulazione del tipo “Quanto mi rende essere onesto?”.
Dobbiamo smascherare instancabilmente i rapporti di potere che si celano sotto le “evidenze” economiche, rifiutare tutte le false leggi (“i profitti di oggi sono i posti di lavoro di domani”, “il commercio arricchisce”, “la Borsa tira la crescita”) e tutte le false evidenze (“gli Stati Uniti sono un paese liberale”: al contrario, sono nazionalisti, interventisti in campo economico e fanno un enorme ricorso, specie in materia di ricerca, ai fondi pubblici).
La gratuità e la solidarietà sono di buon auspicio per quella che potrebbe essere la società di domani, una volta scomparso il problema economico.
Può darsi che l’ideologia economica regni per sempre: Orwell e Huxley hanno raccontato la fine della storia e l’eternità dell’orrore economico ben prima di Fukuyama.
Ma facciamo un sogno: quando l’economia e gli economisti saranno scomparsi, o saranno stati quanto meno relegati in “secondo piano”, saranno scomparsi anche il lavoro senza senso, la servitù volontaria e lo sfruttamento degli esseri umani. Allora sarà il regno dell’arte, del tempo oggetto di libera scelta, della libertà.